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Employee Advocacy

Capita sempre più spesso, nel mercato moderno, che i competitors siano così tanti che è difficile emergere, anche se il prodotto proposto risulta di qualità nettamente maggiore rispetto alla concorrenza.

Questo ormai non basta più, ma diventa necessario conoscere nuovi mezzi e nuove strategie di mercato per conquistare altri clienti ed essere in grado di emergere, affermandosi in un contesto sempre più agguerrito e competitivo.

Per questo negli anni, soprattutto in quelli recenti dell’online, si sono sviluppati nuovi concetti di marketing, come l’employee advocacy, la brand advocacy e la figura professionale del brand ambassador.
Se davvero si ha l’intenzione di espandere la propria azienda, aumentando il volume delle vendite e rendendo più vendibile e apprezzato il proprio marchio, allora bisogna saper padroneggiare queste strategie, e saperle applicare, ed è essenziale che vi si presti la giusta attenzione.

La brand advocacy: perché è utile e perché deve essere sfruttata al meglio

Con il termine “brand advocacy” si intende quel fenomeno per cui sono gli stessi clienti di un marchio a pubblicizzarlo positivamente, parlandone bene, mostrando spesso un oggetto o un servizio, incoraggiando all’acquisto amici e parenti.

Malgrado si viva in un mondo sempre più iperconnesso, decine di studi dimostrano che quando una persona deve comprare beni o servizi tende a fidarsi sempre di più di chi conosce, che si tratti di un amico, un parente, ma anche uno sconosciuto che ha già avuto a che fare con il marchio o il prodotto in questione, ed è disponibile a condividere la sua esperienza, che potrà convincere l’indeciso all’acquisto come alla rinuncia.

Questo primo quadro dovrebbe già dare un’idea dell’importanza delle strategie di brand advocacy, ovvero tutti quei metodi per far sì che i propri clienti diventino ambasciatori e migliori venditori della propria azienda.

La brand advocacy è un mezzo molto economico ma dall’impatto davvero travolgente, se impostato in maniera ottimale. Senza dover investire un centesimo del proprio bilancio, un’azienda ottiene pubblicità spontanea e fatta da fonti disinteressate, e quindi molto più credibile agli occhi di chi la riceve, poiché verrà vista come naturale e senza secondi fini rispetto alla pubblicità tradizionale.

Inoltre è un metodo che fa leva sul fenomeno della riprova sociale: se un prodotto ha preso piede e piace a molti si sente la necessità di possederlo, e ci si convince quasi inconsciamente della sua qualità, tendendo a non coglierne i difetti.

Perché questo meccanismo si metta in moto, è necessario avere presente alcune condizioni essenziali.
Innanzitutto è ovvio che il prodotto venduto deve essere davvero di alta qualità ed essere convincente, altrimenti nessuno promuoverà mai un servizio o un bene con cui si è trovato male o di cui è insoddisfatto.
Essenziale è poi diffondere il valore del brand sui social media, creando connessioni il più possibile significativi con il pubblico che interagisce con le pagine e il sito dell’azienda. L’ideale è diffondere valori condivisibili e positivi, far sentire le persone parte di qualcosa di più grande, coinvolgerle e creare un obiettivo comune, verso cui i fedelissimi dell’azienda si sentiranno in dovere di dare una mano perché venga raggiunto.

Per questo può essere una buona idea creare una community precisa e selezionata, formata da persone interessate e con spiccate doti di marketing, che possano davvero fare bene alle vendite e all’immagine del brand.
Per farlo si può organizzare un sistema di incentivi, premi, sconti e buoni in cambio della loro pubblicità spontanea.
Più si sentiranno parte di qualcosa di esclusivo maggiore sarà il loro impegno, e di conseguenza le vendite dell’azienda e il passaparola.

Da questo punto di vista, la creazione di un onboarding, ovvero la presenza di programmi VIP, offerte e promozioni dedicate ed esclusive, può essere utile e proficua.
Bisogna ricordare che la brand advocacy funziona in maniera esponenziale, una sola persona può contattarne altre decine, e queste altre decine ancora, raggiungendo un pubblico ampissimo. Proprio perché l’effetto passaparola è così potente è necessario che la brand advocacy sia fatta bene e curata fin nei minimi dettagli, perché un passaparola negativo è in grado di distruggere un progetto della propria azienda.

Brand ambassador, professionalità al servizio della comunicazione

Il brand ambassador è una figura chiave per la campagna marketing di un’azienda moderna. Si tratta di un professionista che ha il compito di promuovere un marchio o un prodotto, invogliando i consumatori a comprare e testare beni o servizi della società per cui lavora.
Egli ha il delicatissimo compito di essere vettore dei valori e della filosofia dell’azienda, dando credibilità e visibilità. Essenziale è allora identificare la persona giusta, che sappia incarnare la società e che abbia i giusti mezzi e la giusta personalità, anche in base a quale settore del mercato prende in considerazione e con quali clienti si troverà a trattare.

La differenza con il brand advocate è che quest’ultimo non è pagato e lo fa di solito disinteressatamente, o per ottenere sconti e promozioni, mentre un brand ambassador è stipendiato dalla società, conosce bene, l’ambiente in cui opera e i prodotti che ha il compito di promuovere.

Nello specifico, l’ambassador ha il compito di realizzare iniziative commerciali e promozionali, eventi, promozioni, incontri online, spesso si occupa anche di gestire e promuovere la brand advocacy, mettendo a punto gli strumenti che abbiamo visto in precedenza per implementarla.
Proprio i social sono ormai il canale preferenziale degli ambassador più moderni, sono il metodo migliore per creare uno storytelling credibile e coinvolgente, per fidelizzare clienti e utilizzatori dei social network, comunicare la filosofia dell’azienda. Solo con una presenza social forte e ben fatta è possibile presentare la propria società in maniera trasparente e credibile, con un taglio moderno e aperta alle novità e alla innovazione.

Employee advocacy, il mezzo perfetto per migliorare la produttività e il passaparola, senza far lievitare i costi

L’employee advocacy è forse il metodo migliore per spingere la propria azienda verso orizzonti di produttività e vendite insperati fino a prima. Si tratta di progetti per migliorare il tasso di engagement da parte dei dipendenti, ovvero quanto tutto il personale della società si senta partecipe alla vita aziendale, quanto si identifichi con la sua filosofia e i suoi valori fondanti. Dipendenti convinti che la loro azienda sia la migliore in cui lavorare, in cui i prodotti hanno standard di qualità alti, miglioreranno non solo il loro rendimento ma anche il valore del brand, coinvolgendo tutti quelli che conoscono e avviando un passaparola virtuoso.

Per individuare i dipendenti più portati per questa attività, è necessario avviare un contest interno o un programma specifico, lasciando però totale libertà di aderire o meno: è inutile costringere persone che non vorranno seguire questo percorso, perché si ottiene solo il risultato inverso. Le persone ideali per avviare il progetto sono quelle che hanno già un’ottima presenza sui social e che abbiano dimostrato spiccate doti nella comunicazione e nella vendita; devono anche essere convinte di lavorare in un’ottima azienda.

Quando avrete trovato questi ambassador, diventeranno il volto fisico e virtuale della vostra società, e si potrà affidare loro incarichi anche specifici, come gestire un canale social o essere i testimonial per il lancio di un proprio prodotto.
Questo metodo ha tutti i vantaggi di quando sono gli acquirenti a diventare ambassador, ma in tal caso, questi ultimi hanno ancora più credibilità, poiché vedono i processi interni e conoscono come nessun altro la realtà aziendale, inoltre potrebbero essere allettati da un avanzamento di carriera o da altri vantaggi nell’accettare questo ruolo, e quindi vi si impegnerebbero a fondo.

La cosa più importante qualora si avvii una campagna di employee advocacy è quella di stabilire cosa gli employeer ambassador possano o non possano fare. Bisogna mettere in chiaro quali sono i valori focali da diffondere, a quali obiettivi si mira con questa attività.
Altra buona idea può essere quella di fornire ai dipendenti che diventeranno ambassador gli strumenti di cui necessitano, magari avviando un vero e proprio piano editoriale da seguire, articoli da pubblicare, atteggiamenti da adottare.
Altra buona pratica è quella di segnalare per tempo articoli di rilievo e creare un sistema intranet fra tutti gli ambassador, così da condividere esperienze e idee.

Infine, un capitolo essenziale è quello dell’educazione digitale dei dipendenti.
Vero è che uno dei vantaggi della employee advocacy è quello di essere pressoché a costo zero, ma pensare di investire in figure professionali che curino la formazione dei propri dipendenti-ambassador può portare a risultati ancora migliori, e anche evitare spiacevoli incidenti o brutte figure dettate dall’inesperienza.

Vale allora la pena organizzare corsi di formazione per educare alla netiquette, cioè la buona etichetta dei social, oppure dare i rudimenti di comunicazione e di marketing.
Altro ruolo che esperti potrebbero ricoprire è quello di mettere a punto la rete interna e spiegare come preparare un piano editoriale efficace e d’impatto, oppure creare loro stessi la scaletta che poi i dipendenti seguiranno per promuovere l’azienda.
Il compito più importante di tali consulenti esterni rimane però quello di educare gli ambassador in erba all’arena dei social. Servono varie competenze, sia tecniche che teoriche, per gestire un canale social, ma anche per capire quali social network sono i più utili per commerciare il proprio prodotto e migliorare il passaparola della propria azienda.

Facebook, Instagram, LinkedIn e perfino TikTok sono ottime piattaforme in cui agire per avere ottimi riscontri, ma presentano un pubblico, funzioni e target completamenti diversi. Bisogna conoscere a fondo questi aspetti perché la propria campagna di employee advocacy funzioni, e per fare questo è davvero importante che i dipendenti siano supportati da consulenti esperti e competenti, almeno nel primo periodo.

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